La storia del grano Senatore Cappelli inizia nel primo ‘900
Ma andiamo per ordine: nei primi anni del secolo scorso, dopo l’unificazione del Regno d’Italia si avviò una graduale riforma del settore Primario che in quel periodo rappresentava la principale fonte economica per l’intero paese. Grazie all’impulso dato alla ricerca tecnica in campo si cercò di uniformare, estendere e rafforzare le singole metodologie di coltivazione al fine di garantire un progressivo incremento delle quantità di grano in risposta, anche se ancora parziale, al reale fabbisogno della popolazione che versava in condizioni di povertà e denutrizione.
Così, oltre al fattore, sicuramente non secondario, della quantità, relativo alle scorte per un approvvigionamento sufficiente si presentava la criticità - altrettanto non sottovalutabile - della qualità delle produzioni. Lo studio e scienza, come spesso accade, vennero in aiuto e grazie all’abnegazione di alcuni ricercatori ostinati si cercarono di individuare selezioni di qualità di grano più forti per far fronte alle diverse avversità del periodo.
Tra questi ricercatori si distinse senza dubbio Nazareno Strampelli che, dopo aver collezionato oltre 250 specie di grano provenienti dalle più svariate località, riuscì nell’impresa, non scontata, di incrociarne geneticamente e naturalmente alcune che si dimostrarono subito particolarmente adeguate alla semina nel nostro clima mediterraneo.
Lo studio approfondito riguardò sia grani duri autoctoni del Sud e delle isole e di tutta l’area del Mar Mediterraneo e tra queste, spiccò una varietà cosiddetta autunnale la Cappelli, ribattezzata al tempo Senatore Cappelli visto l’incoraggiamento e soprattutto i finanziamenti che il politico assicurò al ricercatore Strampelli per arrivare all’obiettivo agognato da entrambi.
Il Cappelli, ottenuto da una specie magrebina della zona tunisina, all’inizio degli anni ’20 rappresentò un vero miracolo per il suo inserimento nell’ambiente e per il ruolo che si accingeva a svolgere a beneficio delle comunità che lo coltivavano.
Grazie alla sua inopinata robustezza, alla sua maggiore altezza il suo impiego portò subito a guadagnare rese di assoluto rilievo per i coltivatori e, al contempo, una marcata riduzione dei rischi di malattia grave per tutti coloro che in quel periodo facevano conti assai salati, spesso drammatici, con le epidemie malariche che infestavano aree molto estese dell’universo rurale del nostro Paese.