Biopesticidi - microrganismi e insetti antagonisti
Un uso non sostenibile dei prodotti fitosanitari soprattutto nei terreni coltivati con modalità intensive contribuisce a una diminuzione di biodiversità e di fertilità del terreno, con il rischio di una maggiore esposizione delle piante agli attacchi di patogeni e una minore disponibilità di nutrienti, con il conseguente e massiccio ricorso agli input chimici che minano ancor di più la sostenibilità del sistema agroambientale. La preoccupazione di un accumulo dei residui chimici negli alimenti, sempre più sentita dai consumatori, ha fatto sì che molte catene della distribuzione abbiano definito dei limiti stringenti di residui di pesticidi, a tutela della salute dell’uomo e dell’ambiente. È evidente come sia importante un approccio alternativo ed efficace per la difesa delle piante e, nel settore della ricerca, questo investimento è rappresentato dall’applicazione di molecole vegetali a elevata attività biologica, soprattutto se associata ad apporti significativi di sostanza organica.
Si tratta dei biopesticidi, definiti dall’EPA (Environmental Protection Agency - USA) come composti di sintesi derivati - o ispirati - da molecole naturali (vegetali, animali, batteri e alcuni minerali). Sono prodotti generalmente biodegradabili, con tempi di carenza nulli o molto ridotti, e con un ridotto impatto ambientale. Sono impiegati nella lotta integrata e alcuni di essi sono ammessi in agricoltura biologica. I loro vantaggi sono: ridotta tossicità nei confronti degli organismi non bersaglio; ridotta persistenza nell’ambiente; tossicità bassa o nulla per i mammiferi (assente in molti casi); minori rischi per gli operatori legati al loro utilizzo; minor rischio di sviluppo di resistenze. C’è poi anche l’impiego dei microrganismi utili per migliorare l’attività microbica del terreno e hanno un impatto sensibile sulla resa e sulla qualità delle produzioni. E poi, ancora, con l’ingresso di specie aliene dannose, si cerca con la lotta biologica di individuare gli antagonisti naturali di tali specie. Di norma, a differenza dei mezzi chimici convenzionali, la lotta biologica non abbatte la popolazione di un organismo dannoso, ma aiuta a contenerla entro livelli tali da non costituire un danno.
Bioprodotti
Una delle tendenze recenti della ricerca nel settore agroindustriale su cui investire maggiormente è quella relativa alla valorizzazione dei sottoprodotti e scarti di lavorazione, la cosiddetta biomassa residuale, attraverso il recupero e la produzione di bio-prodotti ad alto valore aggiunto nel tentativo di garantire una crescita sostenibile alle aziende, utilizzando le risorse a disposizione in un modo più intelligente, come raccomandato dalla Commissione Europea nel piano d’azione per l’economia circolare. Ne sono un esempio i residui di lavorazione della frutta che sono diretti prevalentemente e laddove possibile alla distillazione, all’alimentazione animale o alla produzione di biogas. In questo contesto, ci si attende che la ricerca scientifica permetta di valorizzare economicamente una gamma sempre più ampia di risorse rinnovabili, di rifiuti organici e di sottoprodotti grazie a processi nuovi ed efficienti sotto il profilo delle risorse.
Sono questi alcuni esempi di innovazione della chimica verde che, dunque, è un percorso dove imprese, cittadini e istituzioni cercano insieme le migliori risposte alle sfide emergenti. Un’opportunità rilevante che ha il potenziale di contribuire a rendere i sistemi produttivi agroalimentari più salubri e sicuri, diminuendo gli impatti dell’intera filiera di produzione e consumo. Si tratta di un percorso complesso dove la collaborazione tra ricerca e imprese può dare un grosso impulso alla identificazione delle migliori soluzioni.
Fonte: https://www.innovarurale.it/sites/default/files/2019/la_chimica_verde_per_la_sostenibilita_dellortofrutta_def-3.pdf